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Lussazione di spalla: gestione fisioterapica.

Cosa è una lussazione.

Autore: Giacomo Zipponi Fisioterapista

Tra i vari eventi traumatici che possono interessare il sistema osteoarticolare, oltre alle fratture e alle distorsioni troviamo anche le lussazioni. Con la parola lussazione si identifica quel tipo di trauma in cui le superfici di un’articolazione perdono il loro fisiologico allineamento e non lo recuperano in maniera immediata. Possiamo pensarla come un grado ulteriore di un trauma distorsivo. Le articolazioni più esposte a questo tipo di evento sono quelle che hanno il maggior grado di libertà di movimento, ed è proprio per questa ragione che la spalla, l’articolazione più mobile del corpo umano è quella che comunemente va più incontro a lussazione.

Ricordiamo infatti rapidamente l’anatomia della spalla: una piccola superficie scapolare, chiamata glena, si pone in contatto con la testa dell’omero, che ha una forma quasi sferica. Questo rapporto articolare consente molta libertà di movimento ma fornisce assai poca stabilità. A dare sostegno e centratura all’articolazione contribuiscono quindi elementi connettivi di tipo passivo, ovvero la capsula articolare ed i legamenti, ed attivi, ovvero i muscoli: in primis quelli della cuffia dei rotatori, coadiuvati anche dal capo lungo del bicipite e dai grandi manovratori. Non in ultimo, il nostro sistema nervoso, attraverso un fine controllo propriocettivo e neuromuscolare, fa sì che questi elementi attivi siano coordinati nelle loro azioni di movimento e stabilizzazione. 

 Le cause specifiche includono normalmente un qualche tipo di trauma: stradale, lavorativo o sportivo, ma esistono anche alcuni fattori di rischio che rendono più probabile il verificarsi di questo infortunio a seguito di un trauma. Fra questi, nello specifico possiamo trovare il tipo di sport praticato: negli sport da contatto come lotta, rugby o football americano; anche una ipermobilità genetica può incrementare il rischio di lussazione, così come una ipermobilità acquisita a causa di attività lavorative o traumi pregressi. Uno dei maggiori fattori di rischio per la lussazione di spalla è infatti proprio quello di averne già subita una.

Complicazioni possibili.

Le complicanze più comuni che si possono associare alle lussazioni di spalla possono essere la lesione ossee di Bankart e le lesioni del cercine glenoideo. Le lesioni di Bankart sono un particolare tipo di frattura in cui un frammento osseo della glena scapolare si distacca, di solito a causa della violenza del trauma lussante o a causa di lussazioni ripetute. Le lesioni del cercine glenoideo sono molto simili, ma interessano invece la porzione cartilaginea che normalmente amplia la superficie di contatto fra omero e scapola. Talvolta a distaccarsi è un frammento di testa dell’omero: in questi casi si parla di lesioni di Hill Sachs. Oltre a queste lesioni strutturali, a causa di una lussazione possono verificarsi anche compromissioni della funzionalità dei vasi e dei nervi che corrono nel cavo ascellare, con conseguenze sulla funzionalità del braccio.

Una complicanza molto comune, soprattutto qualora la lussazione si verifichi in giovane età, è l’instaurarsi di una instabilità di spalla, più frequentemente anteriore, che può portare oltre che ad un’apprensione costante nei movimenti, anche ad effettivi episodi ripetuti di lussazione.

La gestione attraverso la fisioterapia.

La fisioterapia consente di recuperare la funzionalità a seguito di eventi di lussazione attraverso un programma riabilitativo volto al ripristino della quantità di movimento, del controllo neuromuscolare della stessa, al recupero delle abilità funzionali e della confidenza nella gestione dei movimenti dell’arto superiore. Questo ultimo punto è molto importante, in quanto le lussazioni e l’instabilità portano con sé un’apprensione legata alle posizioni in cui la spalla viene avvertita come vulnerabile (tipicamente quelle simili alla meccanica lussante), tanto che fra i test fatti sulla spalla ne esiste uno chiamato appunto “apprehension test”. Ma come esattamente si articola questo percorso che va da una spalla debole, limitata nei movimenti e spesso dolente, ad una spalla forte, in controllo e funzionale al punto di consentire un soddisfacente svolgimento? Come in molti altri casi, quando si tratta di traumatismi che vanno a creare lesioni specifiche l’approccio è semplice: far calmare il dolore inizialmente e poi ricostruire progressivamente le capacità. Un approccio di questo tipo, se seguito con costanza per le tempistiche necessarie, permette miglioramenti notevoli. Vediamo cosa ci si può aspettare nelle diverse fasi del percorso.

Fase 1: controllo del dolore e riattivazione muscolare.

Nel primo periodo seguente ad una lussazione, sia essa gestita conservativamente o chirurgicamente (ad esempio in caso di lesioni di Bankart o Hill Sachs), è prevista una fase di immobilizzazione del braccio interessato. Questa dura di solito 4 settimane ed è necessaria in prima battuta per proteggere l’articolazione da movimenti che potrebbero lussarla nuovamente. L’immobilizzazione in prima fase, associata ad antinfiammatori al bisogno, è utile inoltre nel controllo del dolore. L’impossibilità di muovere la spalla non dovrebbe però essere un deterrente dal cercare di mantenere attivo tutto il resto del corpo: dalla ricerca sappiamo infatti che l’attività fisica è un ottimo analgesico naturale, che anche in questa fase potrebbe essere utile. In soggetti anziani o fragili inoltre, mantenere un programma di esercizi generali riduce il rischio di decadimento delle abilità motorie dovuto alla riduzione dell’attività quotidiana. 

Una volta rimosso il tutore (anche parzialmente: lo svezzamento è infatti graduale) il focus primario della fisioterapia sarà quello di recuperare progressivamente quantità di movimento, iniziare a d attivare la muscolatura in posizioni relativamente confortevoli e istruire il paziente su come gestirsi in questi primi tempi, in cui il braccio viene spesso avvertito allo stesso tempo come instabile (a causa del trauma lussante originario) e bloccato (per via del periodo di immobilità trascorso). Da un punto di vista manuale la mobilizzazione permette al terapista di individuare e ampliare progressivamente il range di movimento del paziente. Per quanto concerne invece gli esercizi in questa pima fase possono rivelarsi molto utili lavori di automobilizazione e tenute isometriche a bassa intensità in catena cinetica chiusa (cioè con il braccio che fa da punto fisso, in appoggio), che incoraggino una co-contrazione della muscolatura deputata a stabilizzare la spalla.

Sarà inoltre in questa fase che mezzi fisici come la tecarterapia o la criocompressione possono essere utili per offrire sollievo dal dolore e facilitare il movimento del braccio al paziente, in modo che possa essere più attivo anche possibile nella gestione della prima fase. Man mano che il movimento diventa più libero e i muscoli recuperano tono, anche gli esercizi crescono in intensità, in un continuum che ci porta alla seconda fase.

Fase 2: rinforzo graduale e rieducazione funzionale.

In questa fase l’obiettivo è quello di ricondurre il paziente ad una funzionalità completa o comunque ben compensata. Da un punto di vista di quantità di movimento si cerca di colmare deficit residui, ma il grosso del lavoro è incentrato sulla riacquisizione della forza e del controllo necessari alla gestione della personale quotidianità del paziente. Risultano essere colonne portanti di questa porzione del percorso riabilitativo esercizi ini catena cinetica chiusa con richieste muscolari via via crescenti sia da un punto di vista di intensità di contrazione muscolare che di difficoltà da un punto di vista di posizione, vengono proposti esercizi di rinforzo ad intensità crescente anche e sempre più in catena cinetica aperta, in modo da riacquisire forza anche in attività funzionali come lo spingere, il tirare ed il sollevare oggetti. 

Se inoltre le esigenze del paziente lo richiedono si elabora un programma di allenamento generale adattato, ad esempio per sportivi che debbano cercare di perdere il meno possibile le loro capacità atletiche. Man mano che si procede il lavoro diventa sempre meno legato all’infortunio originale e sempre più orientato alle funzioni che il paziente deve e vuole svolgere, portandolo quindi verso un programma di esercizi per gli arti superiori molto variegato e personalizzato. Nella terza fase di seguito descritta questo è ancora più enfatizzato.

Fase 3: miglioramento della performance e ampliamento della riserva di salute.

In questa fase il paziente può aver già recuperato quella che è la sua quotidiana funzionalità ma avere ancora dei deficit o dell’apprensione legata ad attività ad impatto più alto, quali occasionali sforzi lavorativi,  sport o hobby che comprendano un certo impegno fisico degli arti superiori come il giardinaggio. Questa fase è quindi quella del “labor limae”, e serve per rendere il paziente più forte di quella che è la sua normale richiesta funzionale. I concetti ed i principi della gradualità, del la specificità e del sovraccarico progressivo che hanno guidato la riabilitazione sino a qui consentono ai pazienti disposti ad impegnarsi anche in questa fase del percorso diavere un miglioramento delle performance, dove per performance si intendono le loro attività. Va da sé che incrementare le capacità oltre lo stretto necessario crei un sorta di “riserva” che rende la quotidianità più semplice e regala la sicurezza di poter fare quell’occasionale sforzo con meno preoccupazioni. ci piace definire questo concetto come “riserva di salute” (credit. Dott. Daniele Barbieri).

Nel complesso un percorso di questo tipo porta il paziente a passare da una spalla con grande difficoltà di movimento ad una in grado di soddisfare le sue richieste funzionali. La durata del tutto è naturalmente variabile, in ragione delle diverse condizioni di presentazione iniziale dei pazienti e delle loro esigenze, ma si può stimare una approssimativa durata di ciascuna fase fra le 4 e le 8 settimane, per un totale di 6 mesi, fino ad alcuni casi particolarmente complessi che possono richiedere fino anche a 12 mesi. Proprio in ragione della lunghezza del percorso è necessario che questo sia condiviso da subito con il paziente, in modo da elaborare la strategia migliore per consentirgli di intraprenderlo al meglio e con la costanza necessaria al raggiungimento del miglior risultato possibile.

Autore: Giacomo Zipponi Fisioterapista

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